ritmo musicoterapia paralisi cerebrale

Il Ritmo,Una Risorsa Preziosa per la Musicoterapia

Di Veronica Maura, Musicoterapeuta

INTRODUZIONE

L’articolo pone l’attenzione sulle potenzialità terapeutiche della Musicoterapia Neurologica (Neurologic Music therapy) e del fattore ritmico nei confronti della Paralisi Cerebrale Infantile (PCI) di livello V.
L’approfondimento ha lo scopo di porre in risalto il presupposto per cui il cervello, qualunque sia la condizione di partenza dell’individuo, contiene in se la facoltà di instaurare cambiamenti funzionali al miglioramento della qualità della vita grazie alla natura essenzialmente relazionale del sistema nervoso.

LA PARALISI CEREBRALE INFANTILE (PCI)

L’attuale definizione di paralisi cerebrale sul piano internazionale è stata descritta nel 2006 da Rosembaum come “un ampio gruppo di disturbi neurologici che insorgono in epoca precoce per una lesione permanente ma non progressiva del cervello in via di sviluppo, che avviene prima, durante o dopo la nascita entro il primo anno di vita” (Setaro et al., 2016, 6).
La lesione cerebrale, in qualità di danno o di mancato sviluppo, coinvolge primariamente le aree del cervello destinate al controllo del movimento e della postura; pertanto i bambini con PC possono presentare problemi nelle abilità motorie, debolezza muscolare, rigidità, lentezza, difficoltà di equilibrio e coordinazione. La compromissione della funzione motoria si può valutare per sede, gravità (da lieve a severa) e caratteristiche cliniche. Ai disturbi motori si possono accompagnare in modo variabile disordini sensoriali, cognitivi, comunicativi (difficoltà di emettere suoni, di articolare le parole e di linguaggio) ed emotivo-relazionali si presentano come proporzionali in base al livello di menomazione fisica.
Tuttavia, anche se il danno cerebrale che causa la paralisi cerebrale è permanente, il quadro clinico può cambiare nel corso della crescita e a diverse età, e può migliorare con una presa in carico globale e riabilitativa precoce (Setaro et al., 2016, 7).

Per differenziare le varie forme cliniche esistono diversi tipi di classificazione: nel caso di livello di compromissione III, IV, e V, gli utenti richiedono particolare cura in ambito riabilitativo al fine di limitare e contenere quanto più possibile il peggioramento complessivo della patologia (Picciolini et al., 2016, 17).
In particolar modo, la PCI di livello V presenta il quadro clinico più complesso e invalidante sul piano motorio e cognitivo, in quanto maggiore è il grado di disabilità motoria, tanto più lo è quello cognitivo, che generalmente si presenta come Profondo (Q.I inferiore a 20, età mentale equivalente a meno di 4 anni).

LA NEUROPLASTICITA’ E LA NATURA RELAZIONALE DEL SISTEMA NERVOSO

Per molti secoli la scienza ufficiale ha sostenuto che i circuiti cerebrali fossero immutabili, cablati fin dalla nascita per produrre in ogni persona esiti non modificabili dall’apprendimento e, con l’invecchiamento, che ogni cervello andasse incontro al suo declino senza possibilità di ridurlo o bloccarlo. Tali convinzioni vennero spazzate via dalla scoperta della neuroplasticità quando il neuroscienziato Eric Kandel vinse il Nobel per la medicina nel 2000 per aver dimostrato che l’apprendimento può attivare geni in grado di modificare la struttura neurale. Kandel ricavò questa
conclusione studiando il cervello di una lumaca di mare, l’Aplysia, che per attivare l’azione riflessa di protezione della sua branchia può contare su 24 neuroni sensitivi e 6 neuroni motori. Con questo semplice organo nervoso, l’Aplysia, se adeguatamente istruita, è in grado di imparare che quando riceve uno stimolo su una certa parte del corpo deve proteggere la branchia ritraendola. 

Sfruttando la semplicità del suo organo nervoso, i neuroscienziati sono riusciti a dimostrare che lo stimolo ripetuto può attivare uno specifico gene che porta alla crescita di nuove connessioni tra il neurone sensoriale e quello motorio che, come esplicitato anche dai neuroscienziati a sostegno della musicoterapia neurologica, sono alla base biochimica dell’apprendimento (Doidge, 2018, 10).
Le difficoltà di apprendimento hanno una componente genetica ma possono intensificarsi a causa di una stimolazione errata, o da una mancata stimolazione, mentre possono ridursi fortemente per mezzo di un ambiente scolastico e familiare ricco degli stimoli più indicati.
Un fattore determinante per migliorare la neuroplasticità, rinforzando l’apprendimento di specifiche abilità o la riabilitazione di funzioni perdute, è dunque la ripetizione della pratica che favorisce il processo di “mielinogenesi”. Questo processo può essere spiegato pensando a quando si
acquisisce un’abilità dopo molte ore di pratica; all’interno del cervello, gli oligodendrociti sintetizzano mielina, una guaina ricca di lipidi che avvolge l’assone del neurone. In presenza di mielina, il passaggio del potenziale d’azione – ossia la condizione degli impulsi nervosi – lungo gli assoni, avviene ad una velocità cento volte maggiore, facendo in modo che un circuito neuronale mielinizzato abbia un funzionamento tremila volte più efficiente di uno non rivestito da mielina (Siegel, 2014, 8).
Lo sviluppo del cervello è pertanto un processo “esperienza-dipendente”, in cui le esperienze non solo costituiscono gli stimoli che portano all’attivazione dei pattern di energia, i quali sono dotati di un significato simbolico, all’interno delle strutture del cervello, ma sono un fattore necessario per il loro corretto sviluppo.
Le esperienze, dunque, creano rappresentazioni e stimolano la capacità di forme specifiche di processing delle informazioni, rendendo possibile l’apprendimento. Le rappresentazioni, termine coniato per definire i “simboli mentali” (pattern di attivazione neurale), contengono informazioni e creano un effetto, ovvero il verificarsi di eventi nel cervello; la loro forma e i loro effetti all’interno del cervello vengono modificati attraverso complessi meccanismi denominati “processi cognitivi” (Siegel, 2013, 21).

LA MUSICOTERAPIA NEUROLOGICA NEL TRATTAMENTO DI PATOLOGIE
DOVUTE A DANNI CEREBRALI

La musicoterapia neurologica si è inserita all’interno del panorama scientifico internazionale grazie ai presupposti neuroscientifici nel trattamento di disfunzioni cognitive, motorie e sensoriali, dovute ad un malfunzionamento del sistema nervoso centrale, e alle tecniche di intervento basate sugli esiti della ricerca scientifica e clinica.
Il presupposto di base del metodo d’intervento sopracitato è che esistono circuiti cerebrali condivisi tra il controllo motorio, cognitivo, sensoriale e il ritmo (ritenuto come componente essenziale della musica) grazie ai quali, attraverso una metodologia mirata, è possibile contattare le specifiche aree del cervello danneggiate, determinando degli effettivi cambiamenti in relazione alle specifiche necessità del paziente (cit. in “Cerebrum”, 2010).
Alla base di questa disciplina vi è il fenomeno dell'”entrainment”* , ovvero sincronizzazione, avanzato per la prima volta all’inizio degli anni ’90 da Michael Thaut, in ambito riabilitativo sul piano cognitivo e motorio.

* Tradotto dall’inglese: L’entenamento in senso biomusicologico si riferisce alla sincronizzazione degli organismi con un ritmo esterno percepito, come la musica e la danza umana.

Per definizione, la sincronizzazione avviene quando un sistema, o la frequenza di un segnale, si sincronizza con la frequenza di un altro sistema; questo fenomeno può essere osservato a livello fisico, biologico e attraverso la relazione che esiste tra i sistemi sensoriali e motori umani.
In riferimento al livello di sviluppo cognitivo dell’utente affetto da PCI di livello V, le osservazioni di DeCasper e Fifer (1980), sottolineano la capacità dei bambini di percepire il tempo e stimare la durata di secondi e di frazioni di secondi e di distinguere, a due mesi, differenze di durata di 25/1000 di secondo, di misurare la durata degli stimoli ambientali e del loro stesso comportamento, di percepire sequenze temporali, riconoscere corrispondenze, e sviluppare aspettative riguardo al momento in cui determinati eventi si verificheranno (cit. in Iversen et al., 2014, 2).
In sintesi, se il bambino possiede già la capacità di percepire il tempo e le sequenze temporali proprie e ambientali in modo così affinato e quindi di crearsi aspettative sul determinarsi degli eventi, un soggetto il cui stadio evolutivo risulti fortemente regredito e compromesso, potrebbe beneficiare maggiormente di un trattamento centrato sul canale ritmico, in quanto risulterebbe essere, tra i tanti, il canale più accessibile. 
Al fine di comprendere in che modo il fattore ritmico nell’intervento di musicoterapia con utenti affetti da patologie legate a danni cerebrali possa essere una significativa risorsa, si ritiene utile ricorrere ad alcuni studi sulle primordiali modalità di apprendimento, ovvero quelle che si costruiscono tramite la relazione della madre col bambino in termini di “frame” o struttura organizzativa e che si organizzano intorno ai segnali del bambino, in cui le comunicazioni di quest’ultimo acquisiscono significato relazionale e prevedibilità. È in questo modo che il bambino apprende che il suo comportamento può avere una dimensione interpersonale.
È probabile, quindi, che l’arresto evolutivo del bambino affetto da PCI, sia avvenuto proprio in questa fase, determinando una grave insufficienza comunicativa, ovvero che il repertorio dei suoi comportamenti, in termini di capacità percettiva, attenzionale e di motricità, non siano stati compatibili con i limiti di adattabilità specifica della madre, anch’essi predisposti biologicamente. È in questo modo che non ha potuto verificarsi, o che si sia verificata solo in parte la fase dello “pseudodialogo” * e dell’attribuzione di significato ai comportamenti espressivi del bambino, che in tal modo sono rimasti ripetitivi e privi di rendimento comunicazionale (Scardovelli, 1984, 55).

*Adeguamento da parte dell’adulto all’organizzazione temporale ed espressiva del bambino, attraverso messaggi che costituiscono una struttura entro la quale l’attività del bambino inizia gradualmente a divenire prevedibile e ad acquisire significato per sé stesso e il mondo esterno.

Tenendo conto delle difficoltà oggettive, le così dette “barriere” di comunicazione verbale e non verbale, e quindi relazionali, ritengo sia importante mettere in luce alcune osservazioni da parte di Bandler e Grinder riguardo alle modalità di base per entrare in comunicazione qualunque sia la condizione del soggetto che il terapeuta si trovi di fronte. Essi sostengono che per creare un ponte con una persona sia sufficiente imitare il ritmo della sua respirazione o il movimento degli occhi.
L’imitazione precisa dei movimenti dell’utente può agevolare notevolmente l’instaurarsi della relazione, poiché il primo filtro nella ricezione di un messaggio è costituito dalla disponibilità dei canali sensoriali. Pertanto, la possibilità di comprendersi sembrerebbe legata alla facoltà di attivare, nel processo di comunicazione, schemi percettivi e motori simili (Bandler et al., 1979).
L’attivazione di questo processo, attraverso le tecniche di imitazione totale e sincronizzazione, invia non soltanto un messaggio di accettazione, ma consente al terapeuta e all’utente di entrare in relazione, in quanto quest’ultimo può avere accesso ad un’informazione chiave, ovvero che il proprio messaggio è stato recepito e, quindi, che egli esiste. Per restituire correttamente la ricezion del messaggio occorre identificare il parametro di attivazione, cioè l’energia globale percepita in termini di variazioni (crescendi e diminuendi), il ritmo (lento o veloce), il carattere di fluidità o
rigidità e il livello di organizzazione.
La comunicazione della ricezione del messaggio, che comunica “io ti vedo e voglio entrare in relazione con te”, risulta elemento primario, la cornice all’interno della quale si può, in seguito, grazie anche al fattore della neuroplasticità, lavorare sulla costruzione di simboli, schemi, e costrutti
mentali condivisi, basati sull’organizzazione di pattern ripetitivi al fine di generare nuovi apprendimenti (Scardovelli, 1984, 62). Tali pattern si possono osservare frequentemente durante le interazioni madre-bambino in cui nuovi tipi di stimolazione ripetutamente forniti dalla madre,
provocano nel bambino risposte inizialmente orientative e successivamente di piacere, visibile attraverso segnali vocali e della mimica facciale; tale risposta emotiva può essere ancora più evidente se le risposte ripetitive della madre sono dipendenti dal comportamento motorio e vocale del bambino. Sembrerebbe evidente che ciò che di fatto procura piacere al bambino durante l’interazione sociale è la realizzazione della predizione, da lui formulata, che un evento sta per ripetersi, o in altri casi, che sia la sua stessa attività a produrre un evento rilevante, ovvero la congruenza tra risultato atteso e risultato reale.
La natura predittiva del battito, o ritmo, rende dunque possibile il riprodursi di questi processi volti allo sviluppo cognitivo e relazionale dell’utente.

BIBLIOGRAFIA

Bandler, R., Grinder, J. (1979). La metamorfosi terapeutica. Principi di
programmazione neurolinguistica.
Roma: Astrolabio.
DSM-IV-TR. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. 2004. Milano: Masson.
Fedrizzi, E., Picciolini, O., Setaro, A (a cura di). Paralisi Cerebrale Infantile – Che cosa i genitori vogliono sapere. 2016. Milano: Fondazione Mariani.
Hoemberg, V., MacIntosh, G. C., Thaut, M. Neurobiological foundations of neurologic musictherapy: rhythmic entrainment and the motor system, in “Frontiers in Psychology”. N. 1185. Febbraio 2015, USA MacIntosh, G. C., Thaut, M. How music helps to heal the injured brain in “Cerebrum”. Maggio 2010
Siegel, D. (2013). La mente relazionale. Milano: Raffaello Cortina Editore.
Siegel, D. (2014). Mappe per la mente. Milano: Raffaello Cortina Editore.
Watzlawick, P., Beavin, J., Jackson, D. D. (1971). Pragmatica della comunicazione umana. Studio dei modelli interattivi, delle patologie e dei paradossi. Roma: Astrolabio.

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